1 Maggio 2024
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Un eremita dei nostri giorni: intervista a Frédéric Vermorel

DI IDA NUCERA

Incontriamo Frédéric Vermorel poco prima della presentazione del suo libro, Una solitudine ospitale. Diario di un eremita contemporaneo, edizioni Terra Santa, avvenuta a Reggio Calabria in ottobre.

Ha dialogato con lui Giuseppe Licordari, per Casa Eutòpia, una realtà cittadina legata alla spiritualità ignaziana.

L’eremita sta conversando con uno dei tanti amici venuti a salutarlo. È seduto, tra le mani il suo bastone bianco. Eppure lo sguardo di profonda luce, che si volge verso il nostro, sembra riconoscere. Ricordiamo, stringendoci la mano, delle lettere di gratitudine e commiato, tra cui la sua, raccolte nel libro dedicato all’amato vescovo Bregantini, quando partì dalla Calabria, che me lo fece conoscere.

Questa è la prima volta di persona, ma è come se fosse da sempre…

La storia dell’eremita diocesano Frédéric Vermorel, presso l’antico monastero di sant’Ilarione, vicino Caulonia, è illuminata dalla Provvidenza e insieme profondamente intrisa di umano. Nel conoscerla, ogni persona può ritrovarsi. Nell’amore per la verità nascosta nel profondo di se stessi, nell’inquietudine di una ricerca mai totalmente conclusa, fatta di silenzio e preghiera. Al fondo di questa vicenda umana, si specchia quel cammino sempre nuovo di ciascuno, dove l’ascolto dell’A/altro e la fedeltà a Dio sono “l’unico filo d’Arianna nel labirinto delle nostre vite”.

L’eremo nel quale dal 2003 vive Frédéric è l’approdo dopo un lungo cercare, non solo geografico.

Frédéric Vermorel copertina libro Una solitudine ospitale

Cenni biografici su Frédéric Vermorel

Nasce nel 1958 in Francia, si laurea in Scienze Politiche a Parigi e molto giovane frequenta la Comunità di Taizé, dove incontra Frére Schutz. Il cammino prosegue nel deserto del Sahara, insieme ai piccoli fratelli di Charles de Foucauld, disegnando un file rouge nelle geografie del cuore, fino alle porte della fraternità monastica di S. Maria delle Grazie a Rossano Calabro, nel 1984.

Dodici anni, intensi e travagliati, così come il libro narra. Ci vuole un tempo lungo, per staccarsi da questa esperienza, profondo e di attento discernimento, non privo di oscurità e dubbi. Una forte certezza, però, accompagna Frédéric: l’amore per la terra di Calabria, insieme al sostegno e all’accompagnamento spirituale di uomini di fede: Enzo Bianchi, Jean Vanier, padre Albert Chappelle, gesuita, “suo amato e ammirato maestro”, improvvisamente scomparso nel 2003.

Ai tanti doni che il Signore gli fa, corrispondono altrettante perdite, segno di restituzione e responsabilità. Nel libro appaiono altri gesuiti, a cui l’autore è grato. Padre Michele Corcione, padre Rodolfo Benevento, che nell’augurargli una buona vita all’Eremo gli dice:

“Dio vuole vedere il mondo attraverso i tuoi occhi, toccarlo con le tue mani, amarlo con il tuo cuore”.

L’incontro con padre Vincenzo Sibilio

L’amico e confessore non può sapere che quello sarebbe stato il suo testamento per Frédéric. Un ruolo importante, vedremo, è anche quello di padre Vincenzo Sibilio. A un certo punto del suo cercare, Vermorel si chiede se è volontà di Dio entrare in Compagnia. Ma non è questo il disegno di Dio nella sua vita. C’è l’eremo dopo tanto andare.

Frédéric, molti considerano la vita eremitica una fuga dal mondo, in realtà è il luogo in cui silenzio, ascolto e condivisione hanno una piena realizzazione. La tua spiritualità “si radica negli incontri”, nell’incontrare le ferite profonde di uomini e donne, che giungono smarriti, e nel lavoro e nel silenzio, ritrovano la pace. Che cos’è l’eremo per te, cosa narri al lettore attraverso queste pagine, definite diario di un eremita contemporaneo?

Parto dalla premessa, in effetti, un eremo è una cassa di risonanza. È un luogo in apparenza vuoto, però dove il mondo rimbomba le sofferenze, le gioie degli uomini e delle donne. Quando mi è stato chiesto di scrivere il libro, in seconda battuta, l’editore Terra Santa ha aggiunto che sarebbe stato importante sapere come sono arrivato a questa decisione. Allora ho detto: non mi sta chiedendo di scrivere un libro sulla solitudine eremitica, ma che racconta la mia storia. Il viaggio come metafora della vita. Nel raccontare c’è sempre qualcosa che entra in risonanza con la mia storia, intreccia il singolare e l’universale.

Come si dipana la narrazione?

La mia storia non è scritta in modo lineare. Il libro è costruito sul sistema degli echi. Un evento che richiama un altro evento e questo ne richiama eventualmente un terzo, ciascuno ha senso nell’oggi. Ogni capitolo si conclude con il significato del passato nell’oggi dell’eremo. Questa è una delle chiavi di costruzione e di lettura del libro. Raccontare e ascoltare, per sostare, scoprire un senso, il disvelarsi di un disegno.

In questo momento non ho ancora letto il libro, dunque non posso “risuonare” in alcun modo, se non nell’unico che ha un senso nella tua vita e, per ragioni, situazioni e tempi differenti, anche nella mia. Due persone: padre Vincenzo Sibilio e padre GianCarlo Maria Bregantini, al quale hai detto: “Cerco un vescovo, una benedizione e un luogo dove stare”. Nella vita di Fréderic Vermorél ci sono entrambi.

Certamente ci sono entrambi. Padre Vincenzo è stato molto presente in più momenti, il primo quando mi trovavo ancora a Rossano e mons. Cassone gli aveva chiesto di accompagnare la Comunità. Poi ricordo padre Vincenzo negli anni successivi, dopo la mia uscita dalla comunità, diciamo che questa volta il dialogo era improntato al discernimento, per capire “dove vado?”. Per ultimo, quando lui è venuto ad abitare a Locri: è stato provvidenziale, perché proprio a quel tempo il mio accompagnatore abituale si stava allontanando, geograficamente, non umanamente, rispetto a me. La presenza di padre Vincenzo a 40 km dall’eremo mi facilitava un po’ le cose. È stata una grande gioia. Purtroppo la sua dipartita è stata il vuoto per tanti. Con padre GianCarlo è stato diverso. Lo conoscevo da prima, quando era sacerdote, ma è stato il vescovo, il padre che mi ha accolto per tutto il periodo in cui è stato a Locri, è stato molto attento e mi ha accompagnato.

Nel libro risuonano alcuni spunti che riconosciamo nella dimensione personale e comunitaria di ciascuno, abitata da tutta la nostra umana fragilità.

“Nel deserto tutto quello che chiamo “io” deve morire — dice Frédéric — anche il meglio, il Mosè interiore, deve morire. Nel deserto interiore una parte di me stesso si ribella e un’altra rimane fedele. Anche il meglio delle mie potenze interiori, sensibilità, intelligenza e volontà, può inciampare e cadere. Solo Dio è fedele”.

Ogni cammino è ricco di luci e consolazioni, ma non ci risparmia ombre e desolazioni. “Bisognava tagliare, ma non potevo – dice di sé l’eremita – desideravo tornare, ma non potevo… Non potevo, dunque dovevo”. Perdiamo compagni di cammino che vanno verso altre strade. Per tanti motivi. A volte ciò avviene, come per Frédéric, non in modo indolore. Il libro ci interroga e può essere d’ausilio a purificare la memoria, evitare di ripetere errori. Colpisce, tra tante, la frase:

“Ho impiegato due anni per riprendermi dalla separazione, e sette per perdonare. Sono lunghi sette anni… Ma oggi rendo grazie per il tempo trascorso a Rossano, per i fratelli e le sorelle che mi furono donati”.

Anche per questa ferita, Frédéric oggi può dare consolazione e conforto a chi bussa all’eremo, perché è come il “guaritore ferito”, da lui riconosciuto in gioventù, nei malati psichici dell’Arca.


Casa EuTòpia per il bene comune

Riportiamo il testo che segue, tratto direttamente dal manifesto fondativo di Casa Eutopia:

“EuTòpia è il Luogo-Bello che, nato dalla Gratitudine, ci ha sbilanciati nella Gratuità e che, se è vero che è già e non ancora, smarca dalla duplice tentazione del già tutto e dell’ormai non più. Perciò, non può essere né un paradiso, né un luogo raggiunto definitivamente: ma anticipazione d’una possibilità, che è tale non per ipotesi, bensì come responsabilità; quella di chi riconosce che è possibile RiEsistere anche nelle notti.
Ecco, dunque, cosa sarà Casa EuTòpia: un luogo in cui avranno sede una serie di realtà associative che si occupano del bene comune, con strumenti vari: della promozione dei diritti e della partecipazione attiva della cittadinanza contro la cultura dello scarto; della cultura; di un’economia alternativa e di base; di progetti di produzione etica e solidale; della lotta di liberazione dalla ‘ndrangheta. Avranno come caratteristiche dirimenti: l’assoluta Gratuità delle loro azioni e la totale autonomia da ogni appartenenza.
Casa EuTòpia sarà gestita dalla comunità reggina della Compagnia di Gesù, col fine di creare un luogo-segno al servizio del bene comune”.

Video intervista a Frédéric Vermorel

Una solitudine ospitale, qui di seguito i video integrali della presentazione.

 

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